Il castello Del Carretto figura tra i quattro monumenti nazionali di Saliceto di grande interesse storico artistico.

Un po’ di storia

La sua origine è molto antica, similmente alla vicina chiesa parrocchiale di San Lorenzo, anticamente Santa Maria (Maddalena) di cui è appurata l’origine paleocristiana, probabilmente bizantina. Di questo castello non esistono documenti fino al 1448, allorché fu espugnato dai Francesi di Asti durante la guerra del Finale. Sussistono però testimonianze pittoriche molto più antiche nella chiesa castellana anch’essa consacrata a Santa Maria, come documentato nel libro “I Templari a Saliceto alla luce di nuove indagini archeologiche”.

Affreschi che risalgono alla prima metà, allorché la figlia naturale dell’imperatore Federico II di Svevia, Cattarina da Marano, andò in sposa al marchese Giacomo del Carretto, signore di una marca estesa dal mare di Finale al Tanaro, con gran parte delle Langhe, nel giorno del Calendimaggio del 1247.
Altri affreschi di scuola giottesca ne attestano la vetustà (Natività).
Il borgo e il castello di Saliceto, per quanto situati nel fondovalle della Bormida, erano considerati inespugnabili per le mura protette da profondi fossati colmi di limpida acqua sorgiva freatica: per questo motivo luogo abituale di residenza dei marchesi Del Carretto che vi tenevano corte.

(affresco “cartolina” di Saliceto della seconda metà del 1400, chiesa di Sant’Agostino)

Soltanto nel 1448 furono espugnati dai Francesi con l’utilizzo di una nuova tecnica bellica, allorché per la prima volta ricorsero all’uso della polvere da sparo: furono scavato lunghi cunicoli fin sotto le mura, poi i barili di polvere vennero fatti esplodere dei barili colmi di polvere da sparo, che aprirono brecce nelle mura.
Probabilmente i primi proprietari del castello furono i marchesi del Vasto, di discendenza aleramica, che con il marchese Bonifacio esteso il loro dominio su gran parte delle attuali province di Savona e Cuneo, e sul Monferrato. Nella divisione tra i sette figli di Bonifacio il 22 dicembre 1142, Saliceto passò sotto il dominio di Ugone, marchese di Clavesana, signore di una marca che includeva la Riviera Ligure di Ponente da Alassio a Diano Marina. Morto Ugone senza eredi, Saliceto passò al marchese Enrico il Guercio di Savona e da allora fu feudo dei marchesi del Carretto per seicento anni. Dapprima appartenuto ai discendenti di Enrico il Guercio. Nella divisione in Terzieri del 22 ottobre del 1268, in seguito alla battaglia di Tagliacozzo entrò a far parte del Terziere di Millesimo con capitale Saliceto, poiché Millesimo fu diviso in tre parti dai fratelli.

Con la successiva divisione del Terziere in due parti il 17 agosto 1345 dopo la morte violenta del marchese Tommaso, venne istituito il Marchesato di Saliceto comprendente anche Camerana, Cengio, la Rocchetta di cengio, Gottasecca, Paroldo e il castello di Carcare, Marchesato che ebbe termine con l’occupazione francese di Saliceto. Dodici anni dopo il castello con il paese venne venduto ai marchesi del Finale, vincitori della guerra, e costituì un’enclave sulle Langhe del Finalese comprendente Camerana, Paroldo e parte della Rocchetta di Cairo.
Il 30 novembre 1583, alla morte del marchese Alfonso II Del Carretto, il castello e Saliceto furono proditoriamente occupati dal giovane duca sabaudo Carlo Emanuele che in tal modo ne entrò in possesso, nonostante le proteste imperiali. Nel 1588 fu oggetto di scambio con Zuccarello, il cui marchese ne prese possesso (scambio che determinò una guerra tra il Ducato Sabaudo e la Repubblica di Genova. Da quel momento, fino all’estinzione della dinastia sul finire del 1700, il castello appartenne al ramo dei marchesi del Carretto di Zuccarello.

I sotteranei

Tre sotterranei si dipartono dal castello.
Il primo collegava il castello alla vicina chiesa di San Lorenzo (anticamente Santa Maria) e la tradizione vuole che raggiungesse il Castelvecchio sulla collina della Rosa. Nel tratto tra il castello e la chiesa era molto grande, in grade di accogliere centinaia di persone: qui si rifugiavano i Salicetesi, tra i quali mio padre Araldo Domenico, durante i rastrellamenti tedeschi. Fu percorso dai fratelli Barison negli anni ’30 del secolo scorso fino all’estremità orientale del borgo in corrispondenza dell’antica Porta Galera: da qui tornarono indietro, poiché le candele tendevano a spegnersi per mancanza di ossigeno.
Il secondo sotterraneo si dipartiva dal castello e raggiungeva la Porta della Marina oltrepassandola: ne sussistono documentazioni sotto le case di Via Carlo Alberto e sotto l’antico ospedale, forse templare, in Via Ospedale n. 2. Retrostante la chiesa di Santa Elisabetta.

Il terzo sotterraneo si diparte dal fondo del pozzo nel cortile interno del castello, scoperto dalla troupe televisiva di Italia Uno quando il pozzo fu momentaneamente prosciugato. Una misteriosa stanza sotterranea del castello, più volte cercata, mai trovata, ma documentata nell’atto di divisione del marchesato dai nipoti di Francesco degli Ayrali, marchese Del Carretto, il 2 febbraio 1413 (Archivio Storico Torino, Voce Langhe lettera N, mazzo I, n° 5). In tal caso questa stanza sotterranea corrisponderebbe a una cisterna vuota, in grado di riempirsi rapidamente con le acque del pozzo e permettere un’immediata fuga. Non è noto il percorso di questo sotterraneo.

(via Ospedale, in realtà carruggio)

I fantasmi

Due i fantasmi presenti in castello. Il più famoso è la dama bianca. L’ultimo proprietario del castello ha riferito di non averla mai vista; ma le donne di Saliceto, che nel periodo postbellico ballavano nel “salone degli armigeri” in castello, a sera inoltrata non osavano uscire sole: sempre in gruppo, temendo d’incontrarla. Probabilmente la moglie del marchese Giorgino Del Carretto, l’ultimo del marchesato di Saliceto indipendente, che si batté come una leonessa durante l’assalto dei Francesi nel 1448, per poi gettarsi dall’alto del mastio, rifiutando la resa.
L’altro fantasma riguarderebbe il marchese Tommaso, ucciso all’inizio del 1345 dalle insidie dei fratelli Corrado e Bonifacio (storico Della Chiesa), ostili alla cessione di terre e castelli ai principi sabaudi d’Achaia.

Esoterismo

Come già accennato, questa nicchia, attribuita a maestranze dell’imperatore del Sacro Romano Impero e re di Sicilia Federico II, risalirebbe alla pima metà del 1200. Fu murata in epoca sconosciuta, probabilmente in seguito alla damnatio memoriae di Federico II o dei Templari, e il grande affresco sullo sfondo venne scalpellato. Soltanto 40 anni fa il maestro Augusto Pregliasco di Saliceto ebbe sentore di questi affreschi e rimosse il muro che li occultavano.
Alla base di questa nicchia vi sono gli stemmi della casata Del Carretto (non visibili nella foto).
Trattasi di affreschi allegorici, gnostici, esoterici unici al mondo e di non facile interpretazione.
A sinistra il raffinatissimo volto monocromo di una donna con sul capo una coroncina gotica, inserito in un rombo: rombo delimitato da una squadra sulla destra. Virtù? Sibilla? Musa? Sui lati quattro cerchi racchiudenti l’esalfa (da non confondere con la stella di Davide all’epoca non ancora nota) con al centro un fiore a otto petali, tipica dell’iconografia federiciana.

Attorno 12 foglie di vite raffinatissime che alludono agli apostoli e al passo evangelico “io sono la vite e voi i tralci”. 13 gelsomini bianchi e altrettanti rossi, di questi rosse uno è seminascosto a sinistra (poco visibile).

A destra, altrettanto raffinato, il volto di un’altra donna con coroncina gotica inserita in un cerchio, con tre semicerchi sulla circonferenza, e un triangolo sullo sfondo. Simbologia fortemente esoterica.
La figura femminile, sempre monocroma, presenta l’occhio destro “pesto” che si trova al centro del triangolo (il rimando alla simbologia sulla moneta da 1 Dollaro è inevitabile.

Sulla volta della nicchia “l’agnus Dei” o “agnello mistico”: tra i più belli e antichi al mondo.

L’agnello mistico ha le stimmate, versa il sangue nel Santo Graal, è inserito in un cerchio con nuovamente 4 cerchi concentrici minori “ai lati” racchiudenti nuovamente l’esalfa al cui interno si trova il fiore a 8 petali. Due croci: la principale con 7 gemme dorate grandi e 10 gemme azzurre piccole, e alle estremità quattro fiori di loto, altro simbolo federiciano.
L’agnello mistico con la grande croce corrisponde al sigillo dei Templari d’Inghilterra, mentre con la piccola croce corrisponde al sigillo dei Templari di Provenza. Tra le zampe un libro: probabilmente l’Apocalisse.

La Natività

Sul lato sinistro della nicchia la natività “giottesca” databile alla metà del 1300; così raffinata che finora ne risulta impossibile l’attribuzione. Da notare le aureole in rilievo dorate, la posizione di Gesù a letto, non nella mangiatoia, posto in secondo piano come nelle natività più antiche. Gli angeli tipicamente giotteschi. Peculiarità straordinaria, forse unica nel panorama pittorico internazionale, il libro aperto sulle ginocchia della Madonna (la Madonna è sempre raffigurata con il libro, se non due, uno aperto e l’altro chiuso, nell’Annunciazione, mai nella natività).
In alto l’annuncio dell’angelo a un viandante, con il bastone sulle spalle e il fagotto (ormai poco visibile) seguito da un cane bianco con collare anti lupo. Straordinaria la suggestione che rimanda all’arcano del Matto dei Tarocchi.

Sulla sinistra l’Annunciazione attribuita a Taddeo Di Bartolo, pittore senese attivo in Liguria sulla fine del 1300. Interessante la colonna tortile a destra, che ne determina l’attribuzione. Da notare la mano di Dio in alto a destra al posto della colomba, come negli affreschi pisani.